Filosofo, scrittore, saggista, poeta e aforista, Voltaire, pseudonimo di François-Marie Arouet, fu uno dei massimi esponenti dell’Illuminismo, diventando simbolo del pensiero razionale e scientifico, fortemente laico e anticlericale.

Proclamo ad alta voce la libertà di pensiero e muoia chi non la pensa come me.

Voltaire nasce il 21 novembre del 1694 a Parigi; la sua famiglia appartiene alla classe agiata: il padre era notaio, avvocato e funzionario fiscale, la madre invece aveva origini nobili; quest’ultima morì quando il bambino aveva soli 7 anni, così venne cresciuto dal padre, col quale ebbe rapporti burrascosi.

I suoi studi iniziano al collegio Louis-le-Grand, dove fin da subito Voltaire dimostra una sferzante passione per gli studi umanistici, studiando addirittura latino e greco e dedicandosi soprattutto alla disciplina filosofica. I rapporti col padre vanno deteriorandosi per la sua scelta di lasciare la scuola di diritto, a cui il padre desiderava vederlo iscritto; Voltaire vuole fare il poeta, non l’avvocato, ma il padre non accetta questa sua vocazione.

Bevo quaranta caffè al giorno per essere ben sveglio e pensare, pensare, pensare a come poter combattere i tiranni e gli imbecilli. Sarà senz’altro un veleno, ma un veleno lentissimo: io lo bevo già da settant’anni e, finora, non ne ho mai provato i tristi effetti sulla mia salute…

Ben presto inizia a pubblicare i suoi primi scritti polemici, ben accolti nei salotti nobiliari, e che gli causarono dapprima l’esilio, poi l’arresto e la reclusione alla Bastiglia. L’eredità ricevuta alla morte del padre e la pensione di corte da parte del re per uno dei suoi poemi garantiscono a Voltaire di vivere agiatamente, anche se le sue opere satiriche e mordaci spesso diventano causa di violenze e ingiustizie contro il poeta, tanto che, per evitare un nuovo arresto, decide di trasferirsi in Inghilterra, dove riesce a formulare concetti e idee d’avanguardia contro il potere assolutista francese.

Disapprovo quello che dite, ma difenderò fino alla morte il vostro diritto di dirlo.

Dopo tre anni di intense relazioni con altri pensatori illustri e di studi della letteratura inglese, specie di Shakespeare, Voltaire ritorna a Parigi, dove pubblica una raccolta di saggi relative agli usi e costumi inglesi: questo gli procura una nuova condanna, perché apertamente schierato contro l’Ancien Regime: esiliato in Lorena, si dedica alla stesura di opere come “La morte di Cesare”, “Bruto”, “Elementi della filosofia di Newton”.

Negli anni successivi riuscirà ad intessere rapporti anche con Federico II, re di Prussia, e venne nominato storiografo dell’Accademia Francese, grazie alla mediazione di Madame de Pompadour, ma alla fine si sposterà a Berlino, ospite di Federico, con il quale poco tempo dopo litigherà a causa di alcune divergenze politiche: il sovrano lo farà infine arrestare per un breve periodo.

Io conosco la gente, cambia in un giorno. Elargisce con la stessa generosità il suo odio e il suo amore.

Lasciata definitivamente la Prussia e impossibilitato a rientrare a Parigi, si sposta dapprima a Ginevra, successivamente a Losanna e infine a Ferney (in Francia). Qui inizia la parte più importante della sua vasta produzione, dove si mescolano idee illuministiche e pessimismo legato alle vicende personali della sua travagliata esperienza.

Se questo è il migliore dei mondi possibili, gli altri come sono?

La salute però comincia ad essere labile, dunque Voltaire chiede di poter rientrare a Parigi: qui, rientrato nel 1778, l’accoglienza fu trionfale da parte di tutti, tranne del re Luigi XVI, della sua corte e del clero. Il filosofo comincia a perdere lucidità e ad utilizzare l’oppio per alleviare i dolori; negli ultimi mesi compaiono molti documenti su una sua presunta professione di fede, anche se gli illuministi le negano tutte. L’unica sua dichiarazione fu “Muoio adorando Dio, amando i miei amici, non odiando i miei nemici, e detestando la superstizione”.

La morte, probabilmente per cancro alla prostata, lo trovò nel 1773.

Voltaire aveva convinzioni forti, grandi passioni intellettuali, una vasta cultura, una scrittura ironica e scintillante, una straordinaria curiosità per gli avvenimenti del suo tempo e una prodigiosa capacità di raccontare le idee. Fu insomma, anche se la parola può sembrare riduttiva, un giornalista.” (Sergio Romano)

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