Una verità rubata, di Rosa Maria Mauceri Leggere - Facile Novembre 15, 2020 Emergenti [recensione di Margherita Montagna] Questo è un romanzo che parla di coraggio e riscatto. La protagonista del romanzo Rosa Maria Mauceri nasce nel 1971 a Boussu-Bois, un piccolo paesino belga popolato da molti italiani e la sua primissima infanzia è caratterizzata da un clima di terrore e sofferenza causato da un padre violento che lei chiama sempre “l’Individuo”. Questo “individuo”, che chiamerò così per l’intero libro perché non merita, da parte mia, di essere chiamato per nome, era anche mio padre biologico. Dopo anni di abusi, Filippa, la madre di Rosa Maria, riesce a trasferirsi con i quattro figli (Salvatore, Lucia, Giacomo e Rosa Maria) a Bruxelles, dove incontra Patrick, che si fa carico di tutta la famiglia garantendole protezione e sostentamento: in questo modo comincia per loro un periodo tranquillo dal clima stabile e abbastanza sereno. Le domeniche ci portava in giro nei parchi di Bruxelles, o per botteghe per comprarci delle scarpe o dei vestiti. Si occupava di noi appena si liberava da lavoro. In questo modo crebbe l’affetto che provavo per lui e al contempo per me e i miei fratelli si presentò l’occasione di avere una vita quasi “normale”, che a noi però sembrava quasi surreale. Dopo un passato così turbolento, avvolto dal pericolo e dalla paura, quello sembrava un sogno. Ricordo tutte le diverse case in cui abitammo, persino un collegio a pagamento in cui decisero di metterci per un po’, sulla costa belga. Nella notte di natale del 1985, in seguito a lancinanti dolori al basso ventre, la quattordicenne Rosa Maria viene ricoverata in ospedale ed operata: il medici le spiegano che è affetta da una rara patologia. Nel 1996, a venticinque anni, la protagonista si trasferisce da uno zio a Monaco di Baviera, dove conosce e si innamora di Riccardo, con il quale va a convivere nonostante il disappunto della madre del ragazzo che, con la sua invadenza, costringe Rosa, incinta di pochi mesi, a trasferirsi in Sicilia a Zafferana Etnea presso la sorella Lucia e il cognato Giuseppe; qui nasce Luca, a cui provvede economicamente in autonomia dato che Riccardo si disinteressa totalmente alla faccenda. Il periodo siciliano si protrae per circa tre anni quando la protagonista, per il bene del figlio, decide di ritornare in Germania e sposare Riccardo. Durante una visita da parte dei genitori, Rosa scopre dalla mamma Filippa la motivazione per la quale l’ha chiamata Rosa Maria: Era il nome di mia figlia, la seconda. È morta ad appena un giorno dalla nascita…» «E anche lei si chiamava Rosa?» chiesi stupefatta. «Sì: Rosa Antonina. Tu sei nata dopo tuo fratello Giacomo, e ti ho voluto chiamare come lei, Rosa, ma con un diverso secondo nome… Rosa Maria.» Le racconta della presunta morte della bambina, ma Rosa Maria, dubbiosa di fronte al racconto della madre, comincia a sospettare che forse L’individuo possa aver giocato un ruolo fondamentale nella sparizione della sorella, così promette alla madre di vendicare il torto subito impegnandosi nella ricerca di Rosa Antonina. Sapevo che sarebbe stata una corsa contro il tempo: volevo che mamma potesse riabbracciare la sua prima Rosa prima di lasciare questa terra. E da quel momento in poi cominciò il mio viaggio alla ricerca di una verità rubata. Da quella promessa fatta nel 2001 sono passati 18 anni, durante i quali Rosa ha cercato incessantemente la sorella nonostante tutto sia apparso, sin dall’inizio, piuttosto nebuloso e difficile: si rivolge alla televisione e a Facebook venendo così a conoscenza dell’esistenza di un quaderno nero dove figuravano nomi di coppie pronte a comprare bambini illegalmente. Dopo vari infruttuosi tentativi, Rosa, con l’aiuto della sorella Lucia si convince che rosa Antonina potrebbe essere ancora viva. Così, l’11 maggio del 2019, Rosa scrive il suo esposto alla Procura di Catania riguardante strutture statali quali ospedali, comuni e cimiteri che, nel corso degli anni, le hanno fornito documenti falsi. Presto andrò alla ricerca di tutte le bambine nate in quell’ospedale di Catania, il giorno prima e il giorno seguente all’arrivo di Rosa Antonina. Lì cominciò il suo destino e, al contempo, ebbe inizio il dolore più atroce della mia mamma, un dolore che nessuna donna dovrebbe portare con sé. Non mi fermerò. Mai. Il romanzo autobiografico della Mauceri è diviso in due parti ben distinte; la prima descrittiva, nella quale la protagonista racconta la sua vita, e la seconda più intima ed avvincente che vede Rosa Maria intrappolata in un labirinto burocratico ostile e refrattario a proposito della ricerca della verità che riguarda sua sorella. Nella prima parte del romanzo, Rosa Maria confessa al lettore i sentimenti nel confronti del padre biologico e della madre: pensando all’Individuo e al suo atteggiamento violento e feroce, l’autrice definisce e descrive il padre come un uomo debole, incapace di dialogare e di gestire le proprie emozioni perdendo molto spesso il controllo; questo atteggiamento ha condizionato negativamente l’intera vita di Rosa che, ancora oggi, adulta e matura, viene assalita dall’ansia ogni qualvolta le ritorni in mente il padre; il cuore comincia a batterle all’impazzata rendendola incapace di reagire dato che queste sensazioni sono radicate nel suo corpo e nella sua anima; con questo libro la scrittrice intende restituire goccia per goccia la ferocia che il padre ha utilizzato per terrorizzarla facendo luce sul suo essere. Le stazioni ferroviarie e le strade buie mi hanno sempre spaventata molto. Erano per me luoghi orribili proprio a causa delle volte in cui mamma aveva provato, anni prima, a scappare via dall’Individuo con il treno insieme a tutti noi bambini. Ricordo i momenti in cui percorrevo quelle vie, pensavo e tremavo all’idea di poter trovare quell’Individuo dietro qualche angolo, pronto ad uccidermi. Anche i sentimenti che Rosa ha nei confronti della madre vengono analizzati in maniera profonda, evidenziandone un cambiamento man mano che la ragazza cresce: da bambina e adolescente prova risentimento e rabbia nei confronti di Filippa poiché non comprende come la donna abbia potuto avere dei figli con un individuo che detesta. Si è domandata per quale ragione sua madre si fosse legata ad un uomo così violento e nemmeno comprende il motivo per il quale, dopo tanto tempo, abbia voluto riprovare a costruire qualcosa con un altro uomo, quello che poi sarebbe diventato il suo patrigno. Negli anni Filippa le spiega che è rimasta legata al padre per il bene dei figli, non voleva che la famiglia venisse smembrata e che i servizi sociali le portassero via i bambini: in una Sicilia degli anni sessanta poco incline all’apertura e alla comprensione della condizione della donna, la sua scelta è stata obbligata. La conoscenza della storia del matrimonio della madre, spinge la protagonista a rinsaldare il loro rapporto, desiderando che Filippa ottenga giustizia e riesca a ritrovare la figlia perduta che solo l’ostinazione e la caparbietà di Rosa Maria potranno rendere possibile. La seconda parte ci presenta la protagonista come una donna con un forte temperamento, tenace, impavida e temeraria, in grado di scoperchiare un vaso che cela l’indolenza, l’approssimazione, l’incoerenza e l’incompetenza di una certa burocrazia siciliana e un malcostume diffuso che hanno rovinato la vita della sua famiglia. 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