[Tratto da – L’arte di conoscere se stessi]

 

Non appena ho cominciato a pensare, mi sono sentito diviso dal mondo. Spesso in gioventù ho temuto per me, perché ho creduto che la ragione sarebbe stata dalla parte della maggioranza. È stato Helvetius il primo a rinfrancarmi. Poi, dopo ogni nuovo conflitto, il mondo ha perso sempre di più, e io sempre più guadagnato.

Già a quarant’anni mi è sembrato di avere vinto in ultima istanza il processo, e mi sono sentito più in alto di quanto non avessi mai osato immaginare: ma il mondo è diventato per me vuoto e desolato. Per tutta la vita mi sono sentito terribilmente solo, e nell’intimo ho sempre sospirato “Ora dammi un essere umano!”

Invano. Sono rimasto solo. Eppure, in tutta sincerità posso dire che non è dipeso da me: non ho respinto né rifuggito nessuno che, di mente e di cuore, fosse un essere umano: non ho trovato altro che miseri gnomi, limitati di cervello, malvagi di cuore, di vili sentimenti, con l’eccezione di Goethe, Fernow, semmai Wolf e pochi altri, tutti più anziani di me da venticinque a quarant’anni.

Perciò un po’ alla volta il disappunto verso singoli individui ha dovuto fare posto al disprezzo dell’insieme. Mi sono presto reso conto della differenza tra me e gli uomini. Ma ho pensato: conoscine prima cento, e troverai di certo il tuo uomo; poi: lo troverai tra mille; poi ancora: alla fine lo troverò, sia pure tra molte migliaia.

Alla fine ho capito che la Natura è ancora infinitamente più avara, e che io debbo sopportare con dignità e pazienza la solitudine dei re.

 

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