LA BREVITA’ DELLA VITA, di Seneca Leggere - Facile Maggio 23, 2016 Silvae et alia [capitoli 16 – 17] Molto breve e molto affrettata è l’esistenza di coloro che si dimenticano delle cose passate, trascurano le cose presenti, temono sul futuro: quando sono giunti al momento finale, tardi capiscono, infelici, di essere stati tanto a lungo affaccendati mentre nulla facevano. Né c’è motivo per cui tu ritenga che con questo argomento si dimostri che loro trascorrano lunga la vita, perché di tanto in tanto invocano la morte: li tormenta l’ignoranza, visto che i sentimenti sono incerti e vanno incontro a quelle stesse cose che temono; per questo desiderano spesso la morte, perché la temono. Anche quella non è una dimostrazione che tu ritenga di persone che vivono a lungo, il fatto che spesso il giorno sembra loro lungo, il fatto che si lamentano che le ore passino lentamente finché giunge l’ora fissata per la cena; infatti se qualche volta le occupazioni li hanno lasciati liberi, rimasti nell’ozio si agitano né sanno come organizzarlo o allontanarlo. Quindi si rivolgono a qualche faccenda e tutto il tempo che intercorre è insopportabile, così, per Ercole, come quando è stato fissato il giorno di uno spettacolo di gladiatori, o quando si attende il momento fissato di qualche altro o spettacolo o divertimento, vogliono che i giorni intermedi saltino oltre. Ogni rinvio della cosa sperata è per loro lungo; ma quel momento che amano è breve e precipitoso e molto più breve, per colpa loro; infatti fuggono da una parte all’altra e non sono in grado di fermarsi in una sola passione. Per loro le giornate non sono lunghe, ma odiose; ma al contrario quanto brevi sembrano le notti che trascorrono nell’abbraccio delle prostitute o nel vino! Da lì anche la follia dei poeti che alimentano gli errori umani con le loro favole, ai quali Giove è sembrato aver raddoppiato la notte, invogliato dal piacere dell’amplesso; che altro è accendere i nostri vizi se non attribuire ad essi gli dei quali istigatori e dare al male una licenza giustificata dall’esempio della divinità? Possono a costoro non sembrare brevissime le notti che acquistano così a caro prezzo? Perdono la giornata nell’attesa della notte, la notte nel timore della luce. Gli stessi loro piaceri sono ansiosi e inquieti per diverse paure e si insinua il pensiero angoscioso di chi gode proprio in quel momento: “Queste cose quanto a lungo?” In seguito a questo stato d’animo dei re piansero la propria potenza, né li rallegrò la grandezza della propria fortuna, ma li atterrì la fine che prima o poi sarebbe giunta. Mentre dispiegava l’esercito tra grandi spazi di territori e ne abbracciava non il numero ma la misura il superbissimo re dei Persiani versò lacrime, perché entro cento anni nessuno di così numerosa gioventù sarebbe sopravvissuto; ma lui stesso che piangeva stava per affrettare loro il destino e per perderne alcuni in mare, altri in terra, altri in battaglia, altri in fuga, e per far morire entro poco tempo quelli per i quali temeva il centesimo anno. Che dire circa il fatto che anche le loro gioie sono ansiose? Infatti non si appoggiano su solidi motivi, ma sono turbate dalla stessa vanità dalla quale prendono origine. Di che genere pensi poi che siano i momenti infelici addirittura per confessione di loro stessi, visto che anche questi nei quali si esaltano e si innalzano al di spora dell’umanità sono poco sinceri? Tutti i beni più grandi sono motivo di ansia né ad alcuna sorte ci si affida meno bene che alla migliore; c’è bisogno di un altro successo per proteggere il successo e per i voti stessi che si sono realizzati bisogna fare voti. Infatti tutto ciò che si è verificato per caso è instabile: ciò che si è innalzato troppo in alto è più esposto alla caduta. A nessuno inoltre piacciono le cose destinate a cadere; infelicissima quindi è inevitabile che sia, non soltanto brevissima, la vita di coloro che con grande fatica si procurano ciò che devono possedere con maggiore fatica. Operosamente ottengono le cose che vogliono, ansiosi mantengono le cose che hanno ottenuto; intanto non c’è nessun calcolo del tempo che mai più ritornerà: nuove faccende si sostituiscono alle vecchie, una speranza risveglia la speranza, un’ambizione l’ambizione. Delle sofferenze non si cerca la fine, ma si cambia l’occasione. Le nostre cariche ci hanno tormentato? Quelle degli altri ci tolgono più tempo; abbiamo smesso di affaticarci come canditati? Incominciamo quali sostenitori; abbiano lasciato la seccatura dell’accusare? Ci prendiamo quella di giudicare; ha smesso di essere giudice? E’ inquisitore; è invecchiato nell’amministrazione stipendiata di beni altrui? E’ occupato dai propri beni. Il servizio militare ha congedato Mario? Lo tiene occupato il consolato. Quinzio si affretta ad abbandonare la dittatura? Sarà richiamato dall’aratro. Andrà contro i Cartaginesi Scipione, non ancora maturo per una così grande impresa; vincitore di Annibale, vincitore di Antioco, onore del proprio consolato, sostegno di quello del fratello, se non ci fosse opposizione da parte di lui stesso, sarebbe collocato assieme a Giove: sedizioni civili coinvolgeranno lui salvatore della patria e, dopo onori pari a quelli dei rifiutati da lui ancora giovane, già vecchio lo alletterà l’ambizione di un altezzoso esilio. Mai mancheranno motivi o lieti o infelici di preoccupazione; la vita sarà trascinata in mezzo alle faccende; tempo libero mai se ne trascorrerà, sempre sarà desiderato. ~~~~ Scrivi Cancella commentoLa tua email non sarà pubblicataCommentaNome* Email* Sito Salva il mio nome, email e sito web in questo browser per la prossima volta che commento. Hai disabilitato Javascript. Per poter postare commenti, assicurati di avere Javascript abilitato e i cookies abilitati, poi ricarica la pagina. Clicca qui per istruzioni su come abilitare Javascript nel tuo browser.