IL DISCORSO DI J.K.ROWLING AD HARVARD Leggere - Facile Luglio 23, 2018 Silvae et alia La prima cosa che mi piacerebbe dire è “grazie”: non solo Harvard mi ha dato questo straordinario onore, ma le settimane di paura e nausea che ho avuto al solo pensiero di aprire questa cerimonia mi ha fatto perdere peso. Una doppia vittoria! Ora tutto ciò che devo fare è prendere dei respiri profondi, adocchiare gli stendardi rossi e convincermi di essere alla più grande riunione al mondo di Grifondoro. Fare un discorso per la consegna delle lauree è una grande responsabilità; o così pensavo fino a quando non sono tornata indietro con la mente alla mia laurea. A pronunciare il discorso quel giorno c’era l’illustre filosofa inglese Baronessa Mary Warnock. Riflettere sul suo discorso mi ha aiutato enormemente a scrivere questo, perché si è scoperto che non riesco a ricordare una singola parola di quello che disse. Questa scoperta liberatoria mi ha permesso di andare avanti senza alcuna paura di influenzarvi inavvertitamente ad abbandonare le promettenti carriere nel mondo degli affari, della legge o della politica per il frivolo piacere di diventare un mago omosessuale. Vedete? Se tutto quello che ricorderete nei prossimi anni è la battuta sul “mago gay”, sono già un passo avanti a Baronessa Mary Warnock. Obiettivi raggiungibili: il primo passo verso il miglioramento personale. In realtà, ho distrutto la mia mente e il mio cuore per cercare quello che avrei dovuto dire oggi a tutti voi. Mi sono chiesta cosa avrei desiderato sapere alla mia cerimonia di laurea, e quali importanti lezioni io avessi imparato in 21 anni che separano oggi da quel giorno. E ne sono risultate due risposte. In questo meraviglioso giorno in cui siamo tutti riuniti per celebrare i vostri successi accademici, ho deciso di parlarvi dei benefici del fallimento. E visto che siete sulla soglia di quella che qualche volta è chiamata “vita reale”, voglio celebrare l’importanza cruciale dell’immaginazione. Queste possono sembrare scelte idealiste e paradossali, ma per favore, abbiate pazienza. Guardare indietro alla ventunenne che ero quando mi sono laureata è un’esperienza poco piacevole per la 42 enne che sono diventata. A metà della mia vita stavo facendo il bilancio tra le mie ambizioni e ciò che amici e familiari si aspettavano da me. Ero convinta che l’unica cosa che avrei mai voluto fare fosse scrivere romanzi. Comunque, i miei genitori, che venivano entrambi da esperienze di povertà e non erano andati all’università, consideravano questa mia iperattiva immaginazione come una deliziosa e personale stranezza che non mi avrebbe mai permesso di pagare un mutuo o ricevere una pensione. So che adesso l’ironia è pari a un’incudine di cartone. Avevano sperato che prendessi un diploma professionale; io volevo studiare Letteratura inglese. Fu raggiunto un compromesso, che in retrospettiva non ha soddisfatto nessuno: iniziai a studiare Lingue Moderne. I miei avevano appena girato l’angolo della strada con la loro macchina che mollai il Tedesco e fuggii precipitosamente per i corridoi degli studi classici. Non mi ricordo quando dissi ai miei genitori che studiavo Lettere classiche; potevano scoprirlo da soli per la prima volta il giorno della laurea. Di tutti gli argomenti su questo pianeta, penso che siano stati messi a dura prova col nominarne uno meno utile della mitologia greca quando ci si aspetta la consegna delle chiavi del bagno dei dirigenti. Mi piacerebbe fosse chiaro, tra parentesi, che non biasimo i miei genitori per il loro punto di vista. C’è un limite ad accusare i vostri genitori per avervi spinto nella direzione sbagliata; il momento in cui siete abbastanza vecchi per prendere il timone, la responsabilità tocca a voi. E quel che più conta, non posso criticare i miei genitori per il desiderio di risparmiarmi l’esperienza della povertà. Lo furono loro stessi, e pure io lo sono stata da allora, e sono abbastanza d’accordo con loro che non sia un’esperienza sublime. La povertà comporta paura, e stress, e qualche volta depressione; vuol dire mille piccole umiliazioni e privazioni. Tirarsi fuori dalla povertà con le proprie forze, questo invece è ciò di cui poter essere orgogliosi, ma la povertà stessa è romantica solo per gli stolti. Ciò che più spaventava la me stessa della vostra età non era la povertà, ma il fallimento. Alla vostra età, invece di una distinta mancanza di motivazione all’università, dove passavo fin troppo tempo in caffetteria a scrivere storie e troppo poco tempo alle lezioni, avevo un metodo per passare gli esami, e questo, per anni, è stata la misura di successo per me e i miei compagni. Non sono tanto apatica da supporre che voi, giovani, di talento e ben istruiti, non abbiate mai conosciuto fallimenti o strazi. Il talento e l’intelligenza non hanno mai inoculato nessuno contro i capricci del fato, e io non penso neanche per un istante che tutti qui abbiano goduto di un’esistenza di tranquilli privilegi e soddisfazioni. Comunque, il fatto che vi state laureando a Harvard suggerisce che non siete molto esperti di fallimento. Potreste essere guidati dalla paura di fallire quasi quanto dal desiderio di successo. Infatti, la vostra idea di fallimento potrebbe non essere molto lontana da quella della persona media, da quanto in alto voi siete arrivati. Alla fine tutti noi dobbiamo decidere cosa significa il fallimento per noi, ma il mondo è abbastanza avido da darvi una gamma di criteri se glielo lasciate fare. Quindi penso sia giusto dire che secondo qualsiasi misura convenzionale, circa sette anni dopo la mia laurea, ho fallito miseramente. Un matrimonio di poca durata d’eccezione si è sgretolato, ed ero disoccupata, un genitore single, e povera così come si poteva essere nella Gran Bretagna moderna. Le paure che i miei genitori avevano avuto per me, e quelle che io stessa avevo avuto per me, erano entrambe arrivate, e secondo ogni standard, ero il più grande fallimento che avevo mai visto. Ora, non starò qui in piedi a dirvi che il fallimento è divertente. Quel periodo della mia vita è stato triste, e non avevo idea che sarebbe stato ciò che la stampa ha rappresentato come un racconto fiabesco di determinazione. Non avevo idea di quanto sarebbe stato lungo questo tunnel, e per molto tempo ogni luce alla fine di esso era una speranza più che una realtà. Quindi perché parlo dei benefici del fallimento? Semplicemente perché fallire ha voluto dire spogliarsi di ciò che non era necessario. Ho smesso di cercare di far finta di essere qualcosa che non ero, e ho indirizzato tutte le mie energie in ciò che mi importava davvero. Non riuscivo in nient’altro, non ho mai trovato la determinazione di riuscire nell’unico campo a cui credevo davvero di appartenere. Ero libera, poiché la mia più grande paura si era realizzata, ed ero ancora viva, avevo ancora una figlia che adoravo, avevo una macchina da scrivere e una grande idea. E così basi reali diventarono fondamenta solide sulle quali ho ricostruito la mia vita. Forse non avete mai fallito come ho fallito io, ma qualche fallimento nella vita è inevitabile. È impossibile vivere senza fallire in qualcosa, a meno che non si viva così cautamente da non vivere per niente – e in quel caso fallisci già in partenza. Il fallimento mi ha dato una sicurezza interiore che non avevo mai avuto superando gli esami. Il fallimento mi ha insegnato cose che non avrei potuto imparare altrimenti. Ho scoperto di avere una forte volontà e più disciplina di quanto pensassi; ho anche scoperto di avere amici il cui valore era inestimabile. La consapevolezza di essersi rialzati più saggi e più forti dalle cadute significa che sarete, d’ora in poi, sicuri della vostra capacità di sopravvivere. Non conoscerai mai veramente te stesso, o la forza dei vostri rapporti, finché entrambi non verranno testati nelle avversità. Tale conoscenza è un vero dono, per tutto quello che è vinto nel dolore, e questo mi è stato utile molto più di qualsiasi qualifica abbia mai ricevuto. Avendo una Giratempo, direi alla me ventunenne che la felicità personale consiste nel sapere che la vita non è una lista di cose da acquisire o da raggiungere. Le tue qualifiche, il tuo Curriculum, non sono la tua vita, anche se incontrerai molte persone della mia età o persino più vecchie che confonderanno le due. La vita è difficile, complessa, oltre il controllo di ognuno, ed è l’umiltà di sapere che vi permetterà di sopravvivere alle sua sfide. Ora potreste pensare che ho scelto il mio secondo argomento, l’importanza dell’immaginazione, per il ruolo che ha svolto nel ricostruire la mia vita, ma non è del tutto così. Anche se personalmente difenderò il valore delle storie della buonanotte fino al mio ultimo respiro, ho imparato a valutare l’immaginazione in un senso più ampio. L’immaginazione non è solo l’unica umana capacità di immaginare qualcosa che non c’è, e quindi la fonte di tutte le invenzioni e innovazioni. Nella sua più discutibile capacità rivelatrice e trasformatrice, è il potere che ci permette di comprendere persone con esperienze che non abbiamo mai vissuto. Una delle più grandi esperienze formative della mia vita precede Harry Potter, anche se questa sia presente in molto di ciò che scrissi successivamente nei libri. Questa rivelazione arrivò sotto forma di uno dei miei primi lavori. Sebbene scappavo per scrivere storie durante le pause pranzo, pagai l’affitto quando ero ventenne lavorando al dipartimento di ricerca africano della sede centrale di Amnesty International a Londra. Lì nel mio piccolo ufficio lessi lettere portate all’ esterno dei regimi totalitari illegalmente scritte da uomini e donne che rischiavano di essere imprigionati per aver informato al mondo esterno cosa stava loro succedendo. Ho visto fotografie di quelli che erano scoparsi senza lasciare tracce, inviate all’Amnesty dai loro amici e familiari disperati. Lessi testimonianze di vittime torturate, e delle ingiustizie che subivano. Ho aperto resoconti scritti a mano di processi sommari di esecuzioni, rapimenti e stupri. Molti dei miei collaboratori erano ex prigionieri politici, persone che erano state prelevate dalle loro case, o erano scappate in esilio, perché avevano paura di parlare contro il loro governo. I visitatori del nostro ufficio comprendevano coloro che venivano per darci informazioni, o cercare di scoprire cosa era successo a ci avevano lasciato indietro. Non dimenticherò mai un prigioniero africano torturato, un uomo giovane quasi quanto me all’epoca, che divenne mentalmente instabile dopo tutto ciò che aveva subito nella sua patria. Tremava in modo incontrollabile mentre parlava alla videocamera delle brutalità che gli erano state inflitte. Era più alto di me, e sembrava fragile come un bambino. Dopo mi fu affidato l’incarico di scortarlo di nuovo nella stazione della metropolitana, e quest’uomo, la cui vita era stata distrutta dalla crudeltà mi prese la mano con squisita cortesia e mi augurò un futuro felice. E fin quando vivrò ricorderò come camminai in quel lungo corridoio e sentii all’improvviso, da una porta chiusa, un urlo di dolore e orrore che non avevo mai sentito prima. La porta si aprii e la ricercatrice mise fuori la testa e mi disse di correre e preparare una bevanda calda per il giovane uomo sedutole accanto. Gli aveva appena dovuto dare la notizia che la madre era stata presa e uccisa per il suo chiaro comportamento contro il regime. Ogni giorno della mia settimana lavorativa, mi è stato ricordato quanto fossi fortunata a vivere in un paese con un governo democraticamente eletto, dove un rappresentante legale e un pubblico processo erano i diritti di tutti. Ogni giorno, vedevo più prove sui mali che l’umanità avrebbe inflitto agli uomini più deboli, per mantenere o guadagnare potere. Iniziai ad avere incubi, veri incubi, su cose che vedevo, sentivo o leggevo. E imparai anche di più sulla bontà dell’uomo all’ Amnesty International di quanto avessi mai saputo. L’Amnesty mobilita migliaia di persone che non erano mai state imprigionate o torturate per ciò in cui credevano ad agire a favore di quelle che lo sono state. Il potere dell’empatia umana, che porta a azioni collettive, salva vite e libera prigionieri. Persone comuni, i cui benessere e sicurezza sono assicurati, si uniscono in gran numero per salvare persone che non conoscono e non incontreranno mai. La mia piccola partecipazione a quel processo è stata una delle esperienze che più mi hanno reso umili e ispirato. Diversamente da ogni altra creatura sulla terra, gli uomini possono imparare e capire, senza avere avuto esperienza diretta. Possono immaginare se stessi al posto di altri. Di certo questo è un potere, come la magia del mio romanzo che è moralmente neutrale. Qualcuno può usare questa abilità per manipolare altre persone o controllarle, come anche per capire o condividere. E molti preferiscono non usare le propria immaginazione per niente. Scelgono di rimanere legati comodamente alle loro esperienze, senza mai preoccuparsi di chiedersi come si sarebbero sentiti a essere nati diversamente. Possono rifiutare di sentire le urla o di guardare all’interno delle prigioni; possono chiudere il loro cuore e la loro mente da ogni sofferenza che non li urta personalmente; possono rifiutare di sapere. Sarei tentata di invidiare le persone che riescono a vivere in quel modo, a parte per il fatto che non penso abbiamo meno incubi di me. Scegliere di vivere in spazi angusti porta alla formazione dell’agorafobia, che porta con se stessa il terrore. Penso che una persone senza immaginazione veda più mostri. Sono più spaventati. Inoltre, chi sceglie di non condividere si rivelano mostri. Anche se non commettiamo mai un’azione malvagia possiamo favorirla buttando la nostra apatia. Una delle molte cose che ho imparato alla fine di quel corridoio di studi Classici, dove mi sono avventurata all’età di 18 anni, in cerca di qualcosa che allora non potevo definire, fu questa, scritta dall’antico scrittore greco Plutarco: Ciò che otteniamo nel nostro intimo cambierà la realtà esterna. Questa è una frase stupefacente e già provata mille volte nella vita di tutti i giorni. Esprime, in parte, la nostra inspiegabile connessione con il mondo esterno, il fatto che tocchiamo la vita di tutti gli altri semplicemente esistendo. Ma quanto siete più probabili voi, neolaureati ad Harvard del 2008, di entrare in contatto con le vite di altre persone? La vostra intelligenza, la vostra capacità di lavorare sodo, l’istruzione che avete ricevuto e acquisito, vi dà uno status unico, e responsabilità uniche. Anche la vostra nazionalità vi differenzia. La maggior parte di voi appartiene all’unica superpotenza rimasta al mondo. Il modo in cui optate, il modo in cui vivete, il modo in cui protestate, la pressione che portate per sopportare il governo, ha un impatto oltre i vostri confini. Questo è il vostro privilegio e il vostro onere. Se sceglierete di usare il vostro status e la vostra influenza per innalzare una voce a favore di coloro che non hanno una voce; se sceglierete di identificarvi non solo con i potenti, ma con i deboli; se conserverete la capacità di immaginarvi nelle vite di chi non ha i vostri privilegi, allora non sarete celebrati solo dalle vostre famiglie, ma da migliaia e milioni di persone che avrete aiutato a migliorare la loro realtà. Non c’è bisogno della magia per cambiare il mondo, portiamo tutto il potere che ci serve già dentro di noi: abbiamo il potere di immaginare meglio. Ho quasi finito. Ho un’ultima speranza per voi, che era qualcosa che già avevo a 21 anni. Gli amici con i quali sedevo per la consegna delle lauree sono stati i miei amici a vita. Sono i padrini dei miei figli, le persone alle quali mi sono potuta rivolgere in caso di problemi, persone tanto gentili da non prendersela quando ho usato i loro nomi per i Mangiamorte. Alla nostra laurea eravamo legati da un enorme affetto, da esperienze condivise allora che non sarebbero mai più successe, e, ovviamente, dalla consapevolezza che avevamo prove fotografiche molto validi nel caso in cui qualcuno si fosse candidato a Primo Ministro. Quindi oggi vi auguro niente di meglio che simili amicizie. E domani, spero che anche se non vi ricorderete nessuna parola detta da me, ricorderete quelle di Seneca, un altro di quei romani che incontrai quando mi precipitai nel corridoio degli studi classici, in ritirata dalla strada della carriera, in ricerca dell’antica saggezza: La vita è come un racconto: non è importante quanto sia lunga, ma quanto sia buona. Vi auguro delle vite bellissime. Grazie mille a tutti. ~~~~ Scrivi Cancella commentoLa tua email non sarà pubblicataCommentaNome* Email* Sito Salva il mio nome, email e sito web in questo browser per la prossima volta che commento. Hai disabilitato Javascript. 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