[tratto da Postille a "Il nome della rosa”, 1983, U. Eco]

 

Intendo che per raccontare bisogna anzitutto costruirsi un mondo, il più possibile ammobiliato sino agli ultimi particolari.

 

Se costruissi un fiume, due rive, e sulla riva sinistra ponessi un pescatore, e se a questo pescatore assegnassi un carattere iroso e una fedina penale poco pulita, ecco, potrei incominciare a scrivere, traducendo in parole quello che non può non avvenire. Che fa un pescatore? Pesca (ed ecco tutta una sequenza più o meno inevitabile di gesti). E poi cosa accade? O ci sono pesci che abboccano, o non ce ne sono. Se ci sono, il pescatore li pesca e poi va a casa tutto contento. Fine della storia. Se non ci sono, visto che è irascibile, forse si arrabbierà. Forse spezzerà la canna da pesca. Non è molto, ma è già un bozzetto.

 

Ma c’è un proverbio indiano che dice “siediti sulla riva del fiume e aspetta, il cadavere del tuo nemico non tarderà a passare”. E se lungo la corrente passasse un cadavere – visto che la possibilità è insita nell’area intertestuale del fiume? Non dimentichiamo che il mio pescatore ha la fedina penale sporca. Vorrà correre il rischio di trovarsi nei pasticci? Che farà? Fuggirà, fingerà di non vedere il cadavere? Si sentirà presto da coda di paglia, perché il cadavere è quello dell’uomo che odiava? Irascibile com’è, si adirerà perché non ha potuto compiere lui la vendetta agognata?

 

Vedete, è bastato ammobiliare con poco il proprio mondo, e già c’è l’inizio di una storia.

C’è anche già l’inizio di uno stile, perché un pescatore che pesca dovrebbe impormi un ritmo narrativo lento, fluviale, scandito sulla sua attesa che dovrebbe essere paziente, ma anche sui sussulti della sua impaziente iracondia.

Il problema è costruire il mondo, le parole verranno quasi da sole.

Rem tene, verba sequentur. Il contrario di quanto, credo, avviene con la poesia: verba tene, res sequentur.

 

Il primo anno di lavoro del mio romanzo è stato dedicato alla costruzione del mondo. Lunghi regesti di tutti i libri che si potevano trovare in una biblioteca medievale.

Elenchi di nomi e schede anagrafiche per molti personaggi, tanti dei quali poi sono stati esclusi dalla storia.

Vale a dire che dovevo sapere anche chi erano gli altri monaci che nel libro non appaiono; e non era necessario che il lettore li conoscesse, ma dovevo conoscerli io.

Chi ha detto che la narrativa deve fare concorrenza allo Stato Civile? Ma forse deve fare concorrenza anche all’assessorato all’urbanistica. E così lunghe indagini architettoniche, su foto e su piani nell’enciclopedia dell’architettura, per stabilire la pianta dell’abbazia, le distanze, persino il numero degli scalini in una scala a chiocciola.

 

Marco Ferreri una volta mi ha detto che i miei dialoghi sono cinematografici perché durano il tempo giusto. Per forza, quando due dei miei personaggi parlavano andando dal refettorio al chiostro, io scrivevo con la pianta sott’occhio, e quando erano arrivati smettevano di parlare.

 

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