FOSCA, di Tarchetti Leggere - Facile Gennaio 3, 2016 Classici, Recensioni Con Fosca entriamo nel mondo borghese fatto di vicende cupe e drammatiche di una storia (quasi) d’amore di due giovani poco più che ventenni. Qui l’idealistico motto “amor vincit omnia” non corona il finale di questo romanzo scapigliato, a meno che non si consideri un felice esito la morte, accolta con un sorriso, della protagonista. L’intreccio, tra un’epistola e l’altra, si snoda attraverso i sentimenti dei tre personaggi principali: la bellissima Clara, ragazza già sposata, che cede all’amore di Giorgio, bello e vigoroso, e la tremendamente brutta e perennemente malata di isterismo e convulsioni Fosca. Quest’ultima è il perno attorno a cui ruota la vicenda tormentata dell’uomo, incapace di prendere decisioni stabili, vinto dalla compassione e dalla pietà per questa creatura debole e moribonda, capace di instillare lo stesso morbo mortifero a chiunque le stia accanto. Egli perderà infatti la sua stessa salute pur di ridonarle la vita, costretto ad invischiarsi in una menzogna dolcemente crudele, l’unica possibilità, a seguire i consigli di un medico ipocrita e incompetente, per salvare la giovane donna da una morte certa. Il destino è segnato, le ore da passare con lei, ad un capezzale foscamente illuminato, nel buio delle notti e nelle giornate di sole che paiono grigie, un amore forzato che lo costringe a farsi violenza, a ripetere tristemente quanto la donna amata sia lei, una storia costruita di nascosto, celata agli occhi indiscreti della società perbene, borghesucci che già mormorano lo scandalo. E’ Giorgio ad introdurci in questa follia, spiegando al lettore come egli fosse “nato con passioni eccezionali. […] Ho avuto due grandi amori, due amori diversamente sentiti, ma ugualmente fatali e formidabili. E con essi si è estinta la mia gioventù, è per essi”. Dunque è l’amore che consuma, che porta alla malattia, ma non alla morte perché “se quei dolori furono enormi, non ebbero il potere di uccidermi, perché tal potere è spesso negato al dolore”. L’amore che determina la corrosione dell’animo di un giovane appassionato, il quale al termine del romanzo non sarà altro che un uomo incapace di amare e indifferente a tutto: “Dopo i vent’anni le lacrime ricadono nel cuore e vi si accumulano. Credo che spesso si muoia di queste lacrime che non possono trovare una via. Perché non si piange più dopo i vent’anni?” Due diversi amori, dice Giorgio. Uno dolce e confortante, ricambiato da lacrime di una gioia eterna (finché dura, perché “chi di amor ferisce, di amore perisce”), passione vera e immensa, affetto vivo e ardente. L’altro costretto da catene pesanti, terribile, odiato, massacrante, penoso. Se da una parte egli viene curato dall’uno, uscendo da uno stato di malattia creduta mortale, dall’altra ci ricade, agonizzante in una camera buia, affetto e afflitto dalla fosca malattia. Fosca d’altra parte ha coscienza della sua bruttezza, della sua maledizione, sa che non può far altro che provocare pena e angoscia a chi la guarda, sa di essere malata e destinata ad una vita breve ed infelice, ma nonostante tutto questo crede di poter meritare l’affetto compassionevole, seppur falso e beffardo, di una qualsiasi creatura capace di intendere le sue pene, condividerle. Mossa da una forza interiore che alimenta la sua follia, capace di trascinarsi di città in città, per le vie bagnate di Milano, guardata con curiosità dal mondo, per seguire quell’unica via di luce in cui ha deciso di riporre tutto ciò che le rimane del suo soffio vitale. Una costanza e una persistenza che nessun altro, nemmeno il forte Giorgio o la bella Clara, sa mostrare. Nella malattia, la più forte di tutti i personaggi che ci troviamo di fronte. Non i suoi genitori, un padre debole incapace di difenderla da un marito violento; una madre sciocca che si crogiola nella sua cieca speranza di trovarle un degno marito; un cugino ingenuo, che non si rende conto della verità neppure quando il resto della società sa e deride; un medico incompetente, che cerca inutilmente cause e soluzioni non scientifiche per salvarla. Dunque in primo piano non Giorgio, passivamente trainato dagli eventi e incapace di opporvisi, ma lei, Fosca, tanto fisicamente e psicologicamente debole nei momenti più lucidi, quanto forte e spavalda nei momenti di pura follia. “Mi sono votata a voi, ho risolto di morire per voi. Avevo bisogno di uno scopo nella vita, l’ho trovato, lo raggiungerò. Non importa che non mi amiate, potete anche odiarmi; anzi, preferirò il vostro odio alla vostra indifferenza: ciò che voglio assicurarmi è della vostra memoria; voglio costringervi a ricordarvi di me; quando vi avrò oppresso con tutto il peso della mia tenerezza, quando vi avrò seguito sempre e dappertutto come la vostra ombra, quando sarò morta per voi, allora non potrete più dimenticarmi.” Una storia d’amore, o pseudo-amore, sicuramente di passione distruttiva, che scorre tra i ricordi di Giorgio e le lettere che ne portano il ricordo, coinvolgendo il lettore nel cupo percorso verso l’inevitabile conclusione. FRASI Io mi sono divorato la vita. Io non potrei misurare la mia età colla stregua ordinaria del tempo. Non è debolezza il piangere, ed anche ove lo fosse, è una debolezza dolce e divina che non umilia l’uomo forte. Certo ella aveva coscienza della sua bruttezza, e sapeva che era tale da difendere la sua reputazione da ogni calunnia possibile; aveva troppo spirito per dissimularlo, e per non rinunziare a quegli artifizi, a quelle finzioni, a quel ritegno convenzionale a cui si appigliano ordinariamente tutte le donne in presenza d’un uomo. Avere una persona cui poter dire ciò che si pensa, ciò che si sente, ciò che si soffre! E sapere che queste sensazioni, questi sentimenti, queste sofferenze sono divise! …Non l’avrei mai sperato, non l’avrei mai sperato! Il bisogno di essere amata era il segreto di tutte le mie sofferenze, io lo comprendeva. La natura mi aveva dotata soltanto di un cuore sensibile, ma di una costituzione inferma, nervosa, irritabile; io non poteva avere né quella forza passiva che dà l’apatia, né quella castità naturale che dà la robustezza: l’amore doveva essere il mezzo e lo scopo di tutta la mia esistenza. Il pensiero fisso, orrendo, che quella donna volesse trascinarmi con sé nella tomba. Essa doveva morire presto, ciò era evidente. Il vederla già consunta, già incadaverita, abbracciarmi, avvinghiarmi, tenermi stretto sul suo seno durante quei suoi spasimi, era cosa che dava ogni giorno maggior forza a questa fissazione spaventevole. Scrivi Cancella commentoLa tua email non sarà pubblicataCommentaNome* Email* Sito Salva il mio nome, email e sito web in questo browser per la prossima volta che commento. Hai disabilitato Javascript. Per poter postare commenti, assicurati di avere Javascript abilitato e i cookies abilitati, poi ricarica la pagina. Clicca qui per istruzioni su come abilitare Javascript nel tuo browser.