A GIULIO PERTICARI – PESARO.
Recanati 9 Aprile 1821

 

Caro e desiderato Amico. Non vorrei molestarvi colle parole. Ma parendomi che la vostra elegantissima e cordialissima domandi pure qualche risposta, rispondo.

Della compassione che mi concedete, quantunque rarissima in questo mondo, e verso me quasi unica, non vi ringrazio, perchè qual ringraziamento è pari alla virtù? Mi confortate amorosamente ch’io non mi lasci vincere dalla tristezza, e mi ricoveri nella sapienza. Conte mio, fu detto con verità che quegli che non è stato infelice non sa nulla; ma è parimente vero che l’infelice non può nulla: e non per altro io credo che il Tasso sieda piuttosto sotto che a fianco de’ tre sommi nostri poeti, se non perch’egli fu sempre infelicissimo. Tutti i beni di questo mondo sono inganni. Ma dunque togliete via questi inganni: che bene ci resta? dove ci ripariamo? che cosa è la sapienza che altro c’insegna fuorchè la nostra infelicità?

In sostanza il felice non è felice, ma il misero è veramente misero, per molto che la sapienza anche più misera s’adopri di consolarlo. Era un tempo ch’io mi fidava della virtù, e dispregiava la fortuna: ora dopo lunghissima battaglia son domo, e disteso per terra, perchè mi trovo in termine che se molti sapienti hanno conosciuto la tristezza e vanità delle cose, io, come parecchi altri, ho conosciuto anche la tristezza e vanità della sapienza.

Le corti, Roma, il Vaticano? Chi non conosce quel covile della superstizione, dell’ignoranza e de’ vizi? Ma presso a poco tutto il mondo è purgatorio. Questo è proprio inferno, dove bisogna che l’uomo guardi bene di non mostrare che sappia leggere; dove non si discorre d’altra materia che di nuvolo e di sereno, o vero di donne colle parole delle taverne e de’ bordelli; dove mentre per l’una parte non resta all’uomo di senno altra occupazione che gli studi, altro riposto che gli studi, per l’altra parte in tanta distanza di ogni paese e d’ogni animo colto, manca agli studi anche la speranza della gloria, ultimo inganno del sapiente.

Perchè volendo comporre, lascio che i concetti e le voci dello sciagurato rassomigliano allo strido sempre unisono degli uccelli notturni, ma in questa mia condizione manca l’intento e il frutto dello scrivere, non potendo primieramente stampare, nè stampando divulgare. Professore vi scrissi nel modo che mi scrivevano da Roma. Ancor io l’interpretava scrittore, e non m’ingannava, secondo quello che voi m’avvisate. Uffizio vile: ma qual cosa è più vile della mia vita? La quale ora è tutta inutile; e s’io ne potessi spendere una metà gittando l’altra, mi sarei pure avvantaggiato non poco.

Nè già posso aspirare a luoghi maggiori in tanta povertà di mezzi. Oltre che ottenuto come che sia l’arbitrio di me stesso, e venuto in parte dov’io potessi vedere e parlare, forse conseguirei, non dignità nè ricchezze nè cose tali che non ho mai nè sperato nè curato, ma una tal condizione che la mia vita non fosse tutt’uno colla morte.

Al vostro caro e pietoso invito rispondo ch’eccetto il caso di una provvisione, io non potrò mai veder cielo nè terra che non sia recanatese, prima di quell’accidente che la natura comanda ch’io tema, e che oltracciò, secondo natura, avverrà nel tempo della mia vecchiezza; dico la morte di mio padre. Il quale non ha altro a cuore di tutto ciò che m’appartiene, fuorchè lasciarmi vivere in quella stanza dov’io traggo tutta quanta la giornata, il mese, l’anno, contando i tocchi dell’oriuolo.

Ma già mi vergogno di parlare sì lungamente di me stesso. Il perchè l’abbia fatto, l’ho posto nel principio; vale a dire, acciò che il silenzio non paresse sconoscenza o noncuranza de’ vostri avvertimenti e dell’amor vostro. Delle profferte generose che mi fate di adoperarvi in vantaggio mio, vi rendo grazie con tutta l’anima. Vogliatemi bene: e s’io vi potrò mai stringer la mano e abbracciarvi, vedrete un uomo vinto ma non guasto dalla mala fortuna, e vinta la mente ma non il cuore, nè la facoltà degli affetti, sebbene illanguidita. Il vostro tenero e devoto Giacomo Leopardi.

~~~~

Scrivi

La tua email non sarà pubblicata