[tratto da http://La conoscenza dello spirito umano]

L’amore è un compiacimento per l’oggetto amato. Amare una cosa significa compiacersi del suo possesso, della sua grazia, del suo accrescimento; temerne la privazione, il decadimento…

Molti filosofi riconducono all’amor proprio ogni genere di attaccamento, pretendono che ci si appropri di tutto ciò che si ama, che non si ricerchi altro se non il proprio piacere e la propria soddisfazione, che si metta se stessi davanti a tutto; tanto che essi negano che colui che dà la propria vita per un altro lo preferisca a se stesso. Su questo punto passano il segno, poiché se l’oggetto del nostro amore ci è più caro senza l’essere che l’essere senza l’oggetto del nostro amore, sembrerebbe che è il nostro amore ad essere la nostra passione dominante, e non la nostra individualità personale; poiché tutto ci sfugge insieme alla vita, il bene di cui ci siamo appropriati attraverso il nostro amore, quanto il nostro vero essere.

Essi rispondono che, in questo sacrificio, la passione ci fa confondere la nostra vita e quella dell’oggetto amato e che noi crediamo di abbandonare una parte di noi stessi per conservare l’altra; almeno essi non possono negare che quella che conserviamo a noi pare più importante di quella che abbandoniamo. Perciò, considerarsi come la parte minore dell’interno del tutto, è una chiara manifestazione della preferenza per l’oggetto amato.

Si può dire la stessa cosa di un uomo che, volontariamente e con sangue freddo, muore per la gloria: la vita immaginaria che acquista al prezzo del suo essere reale è una preferenza assolutamente incontestabile della gloria, e che giustifica la distinzione che alcuni scrittori pongono con saggezza tra l’amore proprio e l’amore per noi stessi. Costoro concordano pienamente che l’amore per noi stessi è presente in tutte le nostre passioni; ma distinguono questo amore dall’altro.

Con l’amore per noi stessi, dicono, si può cercare la felicità fuori di sé; ci si può amare fuori di sé più che nella propria esistenza; non si è per se stessi l’unico oggetto. L’amor proprio, al contrario, subordina tutto alle proprie comodità e al proprio benessere; esso da solo costituisce il suo unico oggetto e il suo unico scopo, tale che, mentre le passioni che nascono dall’amore per noi stessi ci portano a impegnarci verso le cose, l’amor proprio vuole che le cose si offrano a noi e si rende il centro di tutto.

Nulla caratterizza dunque l’amore proprio quanto il compiacimento che si ha verso se stessi e le cose di cui ci si appropria. L’orgoglio è un effetto di questo compiacimento. In genere, si apprezzano le cose nella misura in cui esse piacciono a noi stessi più di ogni cosa, e da ciò si hanno quei confronti sempre ingiusti che si fanno tra se stessi e gli altri e su cui si fonda tutto il nostro orgoglio.

Tutto il piacere che si prova appropriandosi di qualcosa (ricchezza, diletto, eredità…) e il dolore che si prova per la perdita degli stessi beni, oppure il timore di qualche male, la paura, il rancore, la collera: tutto ciò deriva dall’amor proprio.

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