ANNA MARIA ORTESE Leggere - Facile Febbraio 5, 2016 Autori Scrittrice apprezzata, donna controversa, personalità nevrotica. Come si suol dire, “purché se ne parli”. Ed è probabilmente questa l’espressione giusta per descrivere la vicenda più conosciuta della sua storia. Romana di nascita, napoletana di adozione, respinta da quella città per cui provò sentimenti contrastanti di amore e odio. Disprezzo per il grigio, per i palazzi disumani, la realtà crudele, il nero fumoso di una cappa di desolazione e sconfitta. La sua vita trascorre oscillando da un luogo all’altro: Puglia, Campania, addirittura Libia. Gli studi si interrompono, la formazione è da autodidatta. La vita però non la risparmia dall’angoscia e dal fatale: è la morte del fratello, il marinaio Emanuele, a portarla alla scrittura, seguito dalla morte dell’altro fratello, Antonio, qualche anno dopo. Le opere si susseguono una dopo l’altra: l’esordio “Angelici dolori”, le novelle favolistiche ricche di personaggi divini e fantastici de “L’infanta sepolta”, l’onirico e contorto “Il cardillo addolorato”, “Silenzio a Milano”… ma la più famosa rimane sempre “Il mare non bagna Napoli” (clicca qui per leggerne la recensione). La più importante, quella che reca la svolta, la svolta drammatica che la segnò per il resto della sua vita: l’opera dedicata alla sua Napoli la farà allontanare, per sempre, mai più riaccolta, dalla città del cuore, portando gli amici del passato a disprezzare quell’esile femminea figura smunta. Lo stesso “Cardillo addolorato”, ambientato in una Napoli settecentesca e favolosa, può rappresentare quel dispiacere causatole dall’esilio forzato, dall’isolamento a cui si costrinse, dalla nevrosi che scandì la sua vita. Eppure ella stessa non seppe mai spiegare in modo convincente i motivi che la spinsero ad un dipinto così fosco delle strade che così spesso aveva percorso in compagnia di amici e collaboratori. Nell’introduzione al “Mare non bagna Napoli” cerca di discolparsi riflettendo su se stessa e sul quel “male oscuro”, unico amico fedele rimastole. Io detestavo con tutte le mie forze la cosiddetta realtà: il meccanismo delle cose che sorgono nel tempo, e dal tempo sono distrutte. Questa realtà era per me incomprensibile e allucinante. Il suo è un grido che cerca aiuto, un grido per sfuggire da quel “nero seme del vivere” della nevrosi, un modo per dibattersi tra una parete di illusione e un’altra di disagio, per correre via da quel mondo troppo opprimente e disarmante, una visione, uno schermo su cui riuscì a riversare il suo “doloroso spaesamento”. Eppure in altre interviste negò di aver fatto qualcosa di sbagliato, smentì tutte le accuse che le furono rivolte, chiese scusa ribadendo il dubbio di aver commesso qualche passo infame. Ella più volte affermò la convinzione di aver regalato un ritratto veritiero di Napoli, un dipinto steso coi colori della realtà. Nell’epilogo della stessa opera aggiunge che furono le “emozioni, i suoni, le luci, il senso di freddo e nulla” che la conducono ad un limite intollerabile, fino al nevrotico scoppio e alla perdita del buon senso, alla non censura di nomi e cognomi che traspongono su pagine leggibili da chiunque, visibili nelle loro debolezze e frustrazioni, tutti quelli che ella chiamò “amici”. Mai guarì da questa rottura, i pezzi non furono mai ricomposti, anzi i frantumi si moltiplicarono, in uno scontro all’ultimo sangue tra articoli e interviste rilasciate da una parte e dall’altra. Quanto furono l’amore e la stima, tanto furono l’odio e il disprezzo. Opera dunque variegata, poesie, racconti, favole, reportages, cronache e romanzi. Ricca produzione che si alterna tra realismo e onirismo, alti e bassi di un’esistenza tormentata e confusamente vissuta. Alcuni elementi tematici ritornano ossessivamente nelle opere della Ortese, richiamandosi a volte a distanza: ad esempio il motivo della “casa” come rifugio mitico e luogo di sentimenti estremi quali la felicità e l’angoscia. Ma tutto, luoghi e oggetti, assume una carica simbolica e lirica con cui contrasta il realismo di reportages giornalistici. Gli ultimi anni della sua vita trascorrono nella più totale solitudine, incompresa e incomprensibile, volutamente isolata dal resto del mondo, chiusa nella sua psiche caotica e mai districatasi. Muore a Rapallo nel 1998, uscendo di scena e abbassando il sipario su quel teatro infausto e lacerante che fu la sua vita. Scrivi Cancella commentoLa tua email non sarà pubblicataCommentaNome* Email* Sito Salva il mio nome, email e sito web in questo browser per la prossima volta che commento. Hai disabilitato Javascript. Per poter postare commenti, assicurati di avere Javascript abilitato e i cookies abilitati, poi ricarica la pagina. Clicca qui per istruzioni su come abilitare Javascript nel tuo browser.