Italo Svevo è stato uno scrittore italiano la cui opera più famosa è senza dubbio il romanzo “La coscienza di Zeno”.

 

Penso che il rimorso non nasca dal rimpianto di una mala azione già commessa, ma dalla visione della propria colpevole disposizione. La parte superiore del corpo si china a guardare e giudicare l’altra parte e la trova deforme. Ne sente ribrezzo e questo si chiama rimorso.

 

Italo Svevo, il cui vero nome fu Aron Hector Schmitz, nasce a Trieste nel 1861 da una famiglia di origini ebraiche; ancora adolescente, viene mandato in Baviera a studiare insieme ai fratelli; il rientro a casa avviene qualche tempo dopo ed è qui che si diploma all’istituto commerciale di Trieste.

 

Per essere creduto non bisogna dire che le menzogne necessarie.

 

A causa del fallimento dell’azienda paterna, Svevo inizia la sua attività lavorativa presso la Banca di Vienna, ma nel frattempo si dedica alla lettura dei classici italiani ed internazionali; intraprende anche la collaborazione con il giornale “L’Indipendente” e, tra il 1888 e il 1890, pubblica i suoi primi racconti, “Una lotta” e “L’assassinio”.

 

La vita somiglia un poco alla malattia come procede per crisi e lisi ed ha i giornalieri miglioramenti e peggioramenti. A differenza delle altre malattie la vita è sempre mortale.

 

Il primo romanzo pubblicato è intitolato “Una vita” e vede la luce nel 1892, lo stesso anno in cui muore il padre; purtroppo i suoi scritti non ricevono apprezzamenti né dal pubblico né dalla critica. Svevo si fidanza con la cugina Livia Veneziani, dalla quale avrà una figlia. Pochi anni dopo esce il secondo romanzo, “Senilità”, anch’esso privo di riconoscimenti, fatto che lo convince a mettere da parte la scrittura.

 

 

Chissà se l’amo? È un dubbio che m’accompagnò per tutta la vita e oggidì posso pensare che l’amore accompagnato da tanto dubbio sia il vero amore.

 

Lasciato il lavoro in banca, inizia a lavorare nell’azienda del suocero, che però è costretta a chiudere allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. È durante un corso d’inglese che conosce James Joyce, che diventerà suo sostenitore. Approfondisce anche la psicoanalisi freudiana, traducendone l’opera più famosa, “L’interpretazione dei sogni”.

 

Fuori della penna non c’è salvezza.

 

Inizia a collaborare con il giornale “La Nazione” e, nel 1923, viene pubblicato il suo romanzo più famoso, “La coscienza di Zeno”: è con questo che cattura l’attenzione, dapprima della critica (grazie a Joyce che propone l’opera ad alcuni critici francesi), poi del grande pubblico; in Italia sarà Montale ad apprezzarne per primo il talento.

 

 

Sono colto da un dubbio: che io forse abbia amato tanto la sigaretta per poter riversare su di essa la colpa della mia incapacità? Chissà se cessando di fumare io sarei divenuto l’uomo ideale e forte che m’aspettavo? Forse fu tale dubbio che mi legò al mio vizio perché è un modo comodo di vivere quello di credersi grande di una grandezza latente.

 

Nel 1928, un incidente stradale coinvolge Svevo e famiglia: i danni subiti non sono gravi, ma lo scrittore ebbe un malore; muore il giorno dopo a causa di un’insufficienza cardiaca.

 

Parlava spesso della sua esperienza. Ciò ch’egli credeva di poter chiamare così era qualche cosa ch’egli aveva succhiato dai libri, una grande diffidenza e un grande disprezzo dei propri simili.

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