GIACOMO LEOPARDI Leggere - Facile Luglio 15, 2016 Autori IL POETA ERUDITO Giacomo Leopardi nasce nel 1798 a Recanati, da una nobile famiglia; nonostante le sue origini, Leopardi trascorre l’infanzia tra sacrifici economici e lontano dal fermento intellettuale del periodo. I primi precettori furono due ecclesiastici e materie prescelte erano latino, filosofia e teologia. Curioso fin da piccolo, Leopardi scopre l’immensa biblioteca del padre, ampliando così gli interessi letterari. Primissima composizione, come ci racconta egli stesso, è il sonetto “La morte di Ettore”, seguita poi da tutta una produzione definita “Puerili”. Già in grado di scrivere in latino dall’età di 9 anni, riesce addirittura a versificare come i grandi poeti. In generale è l’amore per l’erudizione che caratterizza questi primi anni di vita. Gli studi continuano: latino, ebraico e greco, ma anche francese, inglese, spagnolo, tedesco e sanscrito; filosofia, astronomia, traduzioni e discorsi su scrittori classici… Sette anni di studio serrato, una fitta produzione di saggi, l’attività filologica e numerosissime traduzione dal greco e dal latino arricchiscono gli anni dal 1809 al 1816. Ai classici si affiancano le letture di autori come Foscolo, Monti, Parini, Alfieri, Goethe… L’erudizione lascia spazio alla ricerca del bello, dello stile elegante, del romanticismo e della poesia, gli studi sterili giovanili si aprono ad una produzione diversa: nascono poesie come Le Rimembranze e l’Inno a Nettuno. La vita da studioso compromise fortemente fisico e mente: la scoliosi, oltre che renderlo più basso a causa della doppia gobba di ben 20 cm, provocò dolori, problemi cardiaci, respiratori e circolatori; le febbri erano ricorrenti, aveva problemi alla vista, soffriva di ipotensione, i reumatismi e i disturbi gastrointestinali lo tormentavano; senza contare la perenne stanchezza che lo spossava e infiacchiva, convincendolo di una morte imminente. Non mancano crisi depressive; alcuni studiosi hanno addirittura ipotizzato che fosse afflitto dal disturbo bipolare, il quale spiega i continui sbalzi d’umore esagerati. Tutto ciò, a cui si aggiunge una timidezza caratteriale, lo portarono ad isolarsi dal mondo e all’analisi del dolore e della condizione umana. Le passioni umane vengono ben descritte nello Zibaldone, una raccolta sotto forma di diario composta da riflessioni e aforismi su numerosi temi. In questo periodo nasce la sincera amicizia con Pietro Giordani, grande sostenitore della sua scrittura: sarà infatti lui a presenta Leopardi all’ambiente del periodico «Biblioteca Italiana» e lo fa addirittura partecipare al dibattito culturale tra classicisti e romantici. La corrispondenza tra i due è fitta e variegata, Leopardi può finalmente dar sfogo a tutti quegli anni di solitudine e incomprensione. “Mi ritengono un ragazzo, e i più ci aggiungono i titoli di saccentuzzo, di filosofo, di eremita, e che so io. Di maniera che s’io m’arrischio di confortare chicchessia a comprare un libro, o mi risponde con una risata, o mi si mette in sul serio e mi dice che non è più quel tempo […] Unico divertimento in Recanati è lo studio: unico divertimento è quello che mi ammazza: tutto il resto è noia.” Nel 1819 progetta addirittura una fuga, ma il padre lo venne a sapere e il progetto fallì. Nei mesi successivi inizia l’elaborazione delle tematiche principali della sua filosofia: riflette sulle illusioni delle speranze, sulla vanità delle cose, sul dolore ineluttabile. Le composizioni del periodo sono tra le più famose: L’infinito, La sera del dì di festa, Alla luna, La vita solitaria, Lo spavento notturno… Tema fondamentale è la consapevolezza di non poter essere mai felice. “Cantare il dolore fu per lui rimedio al dolore, cantare la disperazione salvezza dalla disperazione, cantare l’infelicità fu per lui, e non per gioco di parole, l’unica felicità. […] In quei canti veramente divini il Leopardi trasformò l’angoscia in contemplativa dolcezza, il lamento in musica soave, il rimpianto dei giorni morti in visioni di splendore.” (Giovanni Papini) A questo punto numerose sono le città in cui vive: Roma, Milano, Bologna, Pisa. E’ qui che riesce a ritrovare salute e ispirazione: sono di questo periodo, infatti, i grandi idilli (o canti pisano-recanatesi). Purtroppo, però, la salute cagionevole lo costringe a ritornare a Recanati. “In questi sedici mesi di notte orribile”, come li definisce lui stesso, compone alcune delle sue liriche più importanti, come Le ricordanze, La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio, Il passero solitario, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia. Nonostante gli sia sconsigliato, prosegue coi suoi viaggi: altra meta importante è Napoli, dove lavora senza sosta e dà alla luce varie liriche e satire; conduce una vita abbastanza sregolata: dorme di giorno e sta sveglio la notte, mangia molti dolci, beve molto caffè e frequenta la mensa pubblica. Nell’ultimo periodo della sua vita, convincendosi che la sua malattia fosse più psicologica che fisica come gli avevano detto alcuni medici, cominciò ad ignorare le prescrizioni. Sentendo la morte imminente, si augura che essa lo porti via con sé il più velocemente possibile. Riesce a tornare un’ultima volta a Napoli, dove morì improvvisamente, dopo essersi sentito male al termine di un pranzo, all’età di 39 anni. Scrivi Cancella commentoLa tua email non sarà pubblicataCommentaNome* Email* Sito Salva il mio nome, email e sito web in questo browser per la prossima volta che commento. Hai disabilitato Javascript. Per poter postare commenti, assicurati di avere Javascript abilitato e i cookies abilitati, poi ricarica la pagina. Clicca qui per istruzioni su come abilitare Javascript nel tuo browser.